di Giuseppe Gaetano, chief editor
Nonostante le sempre più alte rate dei mutui, comprare casa continua a convenire più che prenderla in affitto.
Al netto del rialzo dei costi di finanziamento ipotecario, la sottoscrizione di un mutuo della durata di 25-30 anni (il 70% di quelli accesi dagli under 36) per coprire l’80% del prezzo di un’abitazione costa meno rispetto al corrispettivo costo medio di locazione dello stesso immobile. Soprattutto in grandi città come Milano, Roma o Napoli. I mutui sono senz’altro rincarati, come tutto il resto, ma restano comunque “ben al di sotto dei massimi storici toccati a fine 2010” dice l’ad di Telemutuo Angelo Spiezia, divulgando l’analisi del suo Centro studi e sottolineando la convenienza dell’acquisto rappresentata dall’effetto capitalizzazione delle rate, “a un costo addirittura inferiore a quello del canone di locazione. A Milano, ad esempio, se si decide di affittare un immobile per 25 anni si spenderanno circa 390 mila euro in canoni senza considerare gli aumenti dovuti all’inflazione. Optando invece per l’acquisto con mutuo all’80%, si andranno a pagare rate per un totale di 362.100 euro”.
Proprio il calo del potere di acquisto, e dunque la necessità di risparmio, dovrebbe suggerire la soluzione mutuo contro l’affitto. Magari per immobili di minor pregio visto che i rialzi dei tassi, da gennaio 2022 a oggi, hanno comunque ridotto il capitale ottenibile del 27% a parità di rata. Lo sostiene l’ultimo report di MutuiSupermarket.it. Nonostante il gap tra fisso e variabile ormai estremamente contenuto, la ricerca conferma la polarizzazione della domanda sul primo, richiesto dal 96% della clientela (+2% su febbraio); a marzo il peso della domanda di mutui acquisto è sceso sotto il 50%, percentuale raggiunta invece dalla domanda di surroga. Negli stessi 14 mesi di stretta monetaria Fabi calcola un aumento del 54% dell’importo delle rate. Facile.it conta un +52% e, nei primi due mesi del 2023, un -7% annuo del valore della richiesta media di aspiranti mutuatari: in alcuni casi è la banca stessa a contenere l’erogato, per conservare il rapporto rata/reddito.
Questo mese Banco BPM e Webank hanno ridotto gli spread sui mutui a tasso fisso da 10 a 15 punti base. Intesa Sanpaolo ha aumentato i tassi fissi tra 25 e 45 punti; lo stesso BNL, tra 15 e 20, e Banca Sella, tra 20 e 25. A febbraio l’Abi, confermando la flessione del mercato del credito in generale, ha rivisto leggermente al ribasso i tassi medi sulle nuove operazioni pubblicati a gennaio da Bankitalia, ma il quasi 3,8% rilevato sul variabile dall’associazione (dallo 0,6% di fine 2021) resta comunque il livello più elevato dal novembre 2012. Per non parlare dei prestiti sul credito al consumo, che per la Fabi potrebbero presto sfiorare il 12%. Al momento le stime prevedono che nel 2023 l’inflazione si assesti intorno al 6%, ancora ben al di sopra il 2% a cui puntano le strette monetarie della Bce.
Se queste continuassero oltre marzo, il mercato si aspetta che a giugno 2023 l’Euribor a 3 mesi possa arrivare al 3,80% e il tasso di finanziamento medio oltre il 5%. Un’altra soluzione è aumentare la durata del mutuo, per abbassare la rata nell’immediato e sperare di usufruire nel lungo periodo di un’inversione della curva dei tassi. La verità è che non esiste una soluzione buona per tutti ed è sempre meglio rivolgersi a un consulente esperto per sciogliere il dilemma tra un tasso fisso molto più elevato del passato (3,5% su durate a 30 anni e intorno al 4% per più brevi) o un variabile che possa calare dal prossimo anno (le proiezioni sono per Euribor al 3% a fine 2024 e al 2,6% a fine 2025) anche perché, a forza di rialzi, prima o poi ci penserà la recessione ad abbassare il costo del denaro.
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